Il fallimento dell’Osservatorio regionale antimafia
La relazione di fine mandato dell’Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata certifica il sostanziale fallimento del lavoro di questo importante organo previsto dalla Legge regionale 48/12, la legge quadro veneta per il “contrasto alla criminalità organizzata”. Un fallimento importante dato che l’Osservatorio, di quella legge, e più in generale della strategia regionale sul tema, costituiva un po’ l’architrave.
Infatti all’Osservatorio erano state assegnate, per legge, finalità alquanto ambiziose: non solo avrebbe dovuto curare “raccolta ed analisi di documentazione sulla presenza delle tipologie di criminalità organizzata e mafiosa italiana e internazionale nel territorio regionale”, ma anche proporre al Consiglio Regionale, riguardo ai settori economici più esposti all’insediamento criminale, “gli interventi volti a favorire la conoscibilità dei presidi di trasparenza e legalità adottati in tali settori” ed eventualmente proporne “di ulteriori, in coerenza e nel rispetto dell’assetto normativo, anche nazionale, di riferimento di detti settori”.
Tastare il polso dell’insediamento mafioso in Veneto e suggerire le contromisure legislative più efficaci: in soldoni il compito era questo. Un compito gravoso, ma per certi versi ineludibile: le mafie sono una realtà complessa il cui agire riguarda molteplici aspetti del vivere civile e diversi settori economici. E per altro essendo soggetti immersi nella società ne condividono le evoluzioni e i repentini cambiamenti. Di questa complessità la politica dev’essere avvertita con relazioni puntuali, ponderate, complesse. Costruite con il contributo di aree disciplinari diversificate: sociologiche, antropologiche, economiche, storiche, giuridiche…
Purtroppo nulla di tutto questo troviamo nella relazione di fine legislatura dell’Osservatorio – in realtà era prevista una relazione per ogni anno di attività. Oltre a non rispecchiare un lavoro collettivo – “la presente relazione riporta contributi elaborati separatamente e indipendentemente dai rispettivi autori” avverte il curatore – essa contiene alcune “perle” degne di nota. Come quella regalata da Giovanni Fabris, ex senatore della Lega Nord, che nelle prime tre righe del suo intervento asserisce, con piglio deciso: “La prima causa del diffondersi della malavita organizzata, di stampo mafioso, nel Veneto, si è avuta allorquando venne istituito dal governo centrale italiano l’obbligo di soggiorno in luoghi lontani da quelli di residenza e nascita dei pregiudicati”. L’affermazione, per quanto assertiva, non è accompagnata da un dato, da una fonte, da un rimando testuale. Nulla. La bibliografia sulla diffusione delle mafie nel Centro-Nord riempie chilometri di scaffali e così la discussione sulle conseguenze del soggiorno obbligato, che in nessun caso è considerato una misura determinante per l’esportazione del fenomeno mafioso in nuovi territori. Ma il senatore Fabris, dopo quattro anni di osservazione, si limita ad asserire.
La politica regionale ha bisogno di un surplus di conoscenza del fenomeno per poter mettere a punto strategie adeguate. Nella costruzione sociale del fenomeno mafioso in Veneto continuano invece a prevalere letture fondate su pregiudizi e cliché, in una sorta di cortocircuito emozionale in cui la presenza delle mafie è chiamata in causa per spiegare dinamiche illegali del tutto autoctone, ma anche per celare l’incapacità di confrontarsi con i problemi politici ed economici di questo territorio. In questo quadro, fanno premio le visioni ideologiche, come quella del senatore Fabris, che portano all’elaborazione di un vero e proprio paradigma dell’alterità, che individua nel mafioso un corpo estraneo che attacca un tessuto economico e sociale considerato altrimenti sano.
Serve elaborare conoscenze autonome rispetto al pur ineludibile materiale conoscitivo prodotto dalla magistratura. Non soltanto la logica e gli obiettivi dell’analisi giudiziaria sono diversi da quelli delle scienze sociali, ma di ordine del tutto diverso sono anche le verità indagate nelle due sedi. Gli studiosi dei fenomeni mafiosi si trovano di fronte a soggetti socialmente autorevoli e depositari di un sapere e di uno sguardo che sono maturati in ambito giudiziario e che sono spesso piegati a due principali obiettivi: l’ordine sociale e la repressione penale di fenomeni che hanno un ben più complesso profilo economico, culturale e sociale. Il materiale giudiziario risponde all’esigenza del contrasto per via penale del fenomeno mafioso. Viceversa la risposta politica esige una conoscenza complessa.
Ma è proprio la politica regionale a portare il peso del fallimento dell’Osservatorio il quale, fin dai primi passi, nel febbraio del 2017, è stata l’occasione per un clamoroso regolamento di conti politico. Gli accordi prevedevano un’elezione consensuale dei componenti tra maggioranza e opposizione. I consiglieri della Lega nord hanno però bocciato la nomina del magistrato Guido Papalia – indicato dal partito democratico, ma flebilmente difeso –, il più autorevole tra i candidati, ma inviso alla Lega a causa di una sua vecchia inchiesta su alcuni esponenti del partito. Già dall’inizio l’Osservatorio ha quindi risentito – come in realtà accade in tutta Italia – delle dinamiche politiche del momento.
Senza contare che, per legge, la partecipazione all’Osservatorio non prevede un riconoscimento economico. Il lavoro di elaborazione e di ricerca non viene remunerato. Questo aspetto, oltre a deprimere la partecipazione di persone qualificate che non possono lavorare gratuitamente, rivela un atteggiamento preoccupante nei confronti del sapere sul fenomeno mafioso. Prevedere la gratuità significa concepire l’impegno nella ricerca sulle mafie come un’opera volontaristica, un po’ dilettantesca e valorizzata dal solo impegno civico. Una visione stereotipata e ingenua, sicuramente dannosa, della lotta alle mafie. La ricerca su questi temi esige professionalità, tempo ed impegno. Come qualsiasi altro lavoro intellettuale.
La nuova legislatura dovrebbe avvertirci se ha intenzione di proseguire il lavoro su questa falsariga. In quel caso, chi ha a cuore la conoscenza e il contrasto alla criminalità organizzata in Veneto e che continuerà a impegnarsi per altre vie, saprà di poter contare solo sulle proprie forze.
*Foto di Didier Descouens – Opera propria, CC BY-SA 3.0