La formazione della camorra veneta: una tesi di laurea dell’Università di Napoli
“Le mafie tendono a giungere in luoghi dove sono già presenti pratiche scorrette anche al limite tra legale e illegale, in un ambiente pronto ad accoglierne gli esponenti malavitosi in virtù di possibili vantaggi. Come ormai è chiaro, la disponibilità di denaro è solo una parte della forza mafiosa: sono le relazioni con l’ambiente esterno, con gli attori formalmente legali, la vera forza e capacità tentacolare, di resilienza e persistenza della criminalità organizzata. Dunque la presenza delle mafie su un territorio parla non dell’organizzazione, ma del tessuto con cui dialoga e si relaziona”.
Così Mirko Cipriano nella sua tesi di laurea magistrale intitolata “Casal di Eraclea, espansione e formazione camorristica in Veneto” e dedicata allo studio del clan dei casalesi di Eraclea. Lo studente dell’Università Federico II di Napoli analizza il fenomeno dell’insediamento al Nord di una organizzazione criminale proveniente dal Sud e ne ricava una fotografia estremamente interessante soprattutto della situazione veneta. Cipriano spiega nel dettaglio quel che alcuni – pochissimi, a dir la verità – vanno dicendo da tempo e cioè che il Veneto non è terra di conquista, ma terreno favorevole all’insediamento mafioso. Dunque, in punto di logica va detto che, alla luce della tesi di laurea di Cipriano, non c’è alcuna giustificazione nella “rimozione” del problema che invece caratterizza l’approccio soprattutto della politica veneta al fenomeno mafioso. Non solo, la tesi di Cipriano dà una spiegazione anche del fatto che mafia, camorra e ndrangheta privilegino i contatti con gli imprenditori invece che con i politici. “Il motivo per cui il dialogo predominante con le mafie avviene con i settori economici imprenditoriali più che con la politica, è perché quest’ultima è risultata subordinata alla prima: essendo le imprese predisposte alla creazione di cartelli che portano, pertanto, all’auto-regolamentazione dell’economia regionale, è mancato un indirizzamento politico ai processi di sviluppo, ponendo in difficoltà l’amministrazione del territorio. A ciò vi è da aggiungersi una crisi del ceto politico, soprattutto dopo la caduta dei legami clientelari di Tangentopoli”.
Questo non significa che la politica non sia importante per lo sviluppo delle mafie, anzi. La politica eterodiretta dall’economia non fa che completare il disastro. “Secondo le analisi svolte da Tiziano Tempesta, docente dell’Università di Padova, il Veneto è stato interessato, da 1970 in poi, da una forte dispersione insediativa la quale, oltre ad aver contribuito a erodere del 10% la superficie coltivabile, causa costi sociali e ambientali ingentissimi. Una regione in cui, nella prima metà degli anni 2000, si sono costruiti più capannoni per chilometro quadrato a livello nazionale, più del 62% della popolazione abita in ville e villini (rispetto al 43% a livello nazionale) e circa il 65% in abitazioni sottoutilizzate, e nell’area centrale più urbanizzata si è superato il 20% di suolo edificato (artificializzato).” È insomma come se politica e criminalità avessero stretto il Veneto in una morsa che ha distrutto contemporaneamente l’ambiente, il tessuto sociale e “drogato” l’ economia. Se così non fosse, se cioè la criminalità organizzata proveniente dal Sud Italia non avesse trovato un terreno favorevole nel Veneto – e in generale in tutto il Nord Italia, dalla Lombardia al Piemonte, dalla Liguria all’Emilia Romagna, mafia camorra e ‘ndrangheta avrebbero avuto notevoli difficoltà ad insediarsi perché, scrive Cipriano nella sua tesi, “Quanto più la legittimazione tenda verso la legalità, allora i comportamenti illegali risulteranno relegati e marginali; altrimenti, vi sarà una legalità formale che sfocia nell’illegalità sostanziale.”
E l’illegalità sostanziale comincia dall’evasione fiscale. Non a caso il Veneto è la seconda regione del Nord, dopo la Lombardia, proprio per l’evasione fiscale. Si tratta non solo di centinaia di milioni di euro sottratti ogni anno a ospedali, scuole, strade e assistenza sociale, ma di guasti irreparabili al comune sentire e alla solidarietà civica. Ma come si fa strada la criminalità organizzata in un territorio? Un esempio? Meglio due. Partiamo dal caso dell’imprenditore edile Giorgio Minelle, coinvolto nell’inchiesta di Eraclea. Si tratta – scrive Cipriano – di un imprenditore “già avvezzo a reati di bancarotta fraudolenta” e fatture false, che ha “cercato di trasformare la sua condizione di insolvenza e di usurato in un vantaggio, strumentalizzando la sua vicinanza agli esponenti del sodalizio, arrivando egli stesso al punto da concorrere con i medesimi (tra cui figurano persone di vertice come Donadio e attori principali come lo Sgnaolin) in alcune attività fraudolente ed estorsive.” Da strozzato a complice degli strozzini, insomma. Un altro esempio è Graziano Poles, l’imprenditore che apre la strada a Luciano Donadio. Scrive nella sua tesi il neo dottore di Napoli: “Fondamentale il supporto dato da Poles (…) senza le sue aziende per il gruppo di Donadio non sarebbe stato possibile o comunque particolarmente difficile, a detta degli inquirenti, ottenere appalti, contrastare illegalmente la concorrenza, riscuotere coattivamente i crediti o nel riuscire a non pagare i debiti, nel imporre la manovalanza in nero, abbattere fraudolentemente i costi del lavoro o nello scambio di false fatture. Con il drenaggio di liquidità dovuto alle attività a sostegno del sodalizio, le imprese del Poles si riducono a strumenti di attività illecite di cui cinque reati di bancarotta fraudolenta, in sinergia col gruppo di Donadio.”
Ma Mirko Cipriano non si ferma qui e approfondisce il tema della “complicità ambientale” per cui “la forza delle mafie deriva soprattutto dalla capacità di tessere relazioni con l’ambiente esterno al gruppo, gli elementi inseriti nel territorio interessato dalle loro attività, in un rapporto che può spaziare dal parassitario al sinergico, in cui i mafiosi possono cercare o essere cercati. Guardare agli agenti periferici rispetto al nucleo operativo del sodalizio è fondamentale per comprendere la portata del medesimo e le effettive capacità d’influenza sul territorio. Coloro che non fanno formalmente parte del gruppo ma contribuiscono al sostentamento e al perseguimento dei fini, ripetutamente nel tempo, incorrono nella definizione di concorso esterno all’associazione mafiosa, una categoria eterogenea e trasversale a ogni campo sociale.” Su questi temi nel Veneto si dovrebbe iniziare a riflettere. Se non è troppo tardi.
Maurizio Dianese
Presidente del Centro di documentazione e d’inchiesta sulla criminalità organizzata nel Veneto
Uno degli obiettivi del Centro di documentazione e d’inchiesta sulla criminalità organizzata nel Veneto è proprio quello di affiancare studiosi e laureandi nel loro percorso di ricerca o tesi. Anche Mirko Cipriano ha potuto consultare i documenti in possesso del Centro. In questo periodo inoltre, il Centro sta seguendo ed affiancando anche la produzione di altre tre tesi di laurea, due in tema di comunicazione e una che punta a raccontare la mafia del Brenta dal punto di vista delle donne.